Appunti e riflessioni sulla Sentenza del Tribunale di Milano che obbliga alla restituzione di un cane adottato.

IL CANE NON È UN OGGETTO

Recentemente una pronuncia del Tribunale di Milano ha disposto la restituzione di un simil pincher di nome Jago, dopo ben 5 anni dall’affido al nuovo padrone,  al precedente proprietario, il quale l’aveva lasciato per mesi allo stato brado senza, tra l’ altro, dotarlo di microchip, obbligatorio per legge.

 Il cagnolino, pertanto era stato  preso in carico da un canile e adottato dalla figlia della signora che l’aveva a suo tempo trovato e raccolto dalla strada e condotto in una clinica veterinaria.

                Il principio posto a base della Sentenza in commento è stata l’equiparazione del piccolo Jago ad una “res” con conseguente restituzione al precedente proprietario ai sensi dell’art 927 c.c.  rubricato “cose ritrovate” il quale prescrive che “ chi trova una cosa mobile deve restituirla al proprietario e, se non lo conosce, deve consegnarla senza ritardo al sindaco del luogo in cui l’ha trovata, indicando le circostanze del ritrovamento”  nonché ai sensi degli articoli successivi in forza dei quali il proprietario può rivendicare la restituzione dell’oggetto, rinvenuto da altri, entro un anno dalla pubblicazione effettuata dal sindaco nell’albo pretorio del Comune.

                Ciò posto, non può che rilevarsi l’integrale appellabilità della sentenza in esame stante la palese violazione di quanto proclamato a livello sovranazionale dall’Unione Europea con il Trattato di Lisbona, del 13 dicembre 2007, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008, n. 130, il quale all’art 13 parte II, cosi statuisce: “Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale” . Il Trattato, pertanto, impegna gli Stati Membri a garantire agli animali una condizione di benessere oltre le loro esigenze fisiologiche ed etologiche, includendo anche una dimensione morale, in quanto gli animali sono dotati di sensibilità e come l’uomo possono provare sofferenza e dolore.

Ebbene il trattato di Lisbona congiuntamente a quello sull’Unione europea, costituisce una   fonte del diritto e insieme pongono le basi fondamentali dell’ordinamento primario nel sistema politico dell’UE. Ne consegue a riguardo che, l’ordinamento italiano non può non tenerne conto sussistendo il primato del diritto dell’UE sul diritto interno. Infatti, il trasferimento di competenze dallo Stato all’Unione Europea comporta anche il riconoscimento del valore primario del diritto dell’Unione sulle norme di diritto interno contrastanti, precedenti e successive, quale ne sia il rango, anche costituzionale. Il diritto dell’UE prevale in ragione della sua natura particolare e in conseguenza del carattere esclusivo della competenza comunitaria. Tale conflitto deve essere risolto mediante la non applicazione del diritto interno incompatibile, senza doverne attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante procedimenti costituzionali. L’obbligo di applicare una norma comunitaria a preferenza di una norma interna contrastante opera in presenza non soltanto di regolamenti comunitari, ma anche di altre norme comunitarie aventi effetti diretti. Quando la norma comunitaria non sia direttamente applicabile né produca effetti diretti, la norma interna contrastante deve essere interpretata in modo da renderla conforme a quella comunitaria. Allorché il contrasto fra norma interna e norma comunitaria non è superabile in via interpretativa, spetta a ciascuno Stato membro porre in essere una diversa normativa conforme agli obblighi comunitari.

                Rilevante sul tema è anche la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987, ratificata dall’Italia con la Legge 201 del 2010, ove – nel preambolo- ai punti 2 e 3 si afferma:

  • Riconoscendo che l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi e tenendo presente che gli animali da compagnia hanno una relazione speciale con l’uomo;
  • Considerando l’importanza degli animali da compagnia nel contribuire alla qualità della vita e al loro conseguente valore per la società;

                Va segnalata sul punto inoltre, la legge quadro in materia di tutela degli animali d’affezione e lotta al randagismo del 14 agosto 1991, n. 281 che ha sancito un principio fondamentale:

  • Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali d’affezione, condanna gli atti di crudeltà contro gli stessi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente”.

                A fortiori si riporta l’Accordo del 6 febbraio 2003, siglato in sede di Conferenza Stato Regioni, tra il Ministero della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano e recepito con DPCM 28 febbraio 2003. In base all’Accordo chiunque conviva con un animale d’affezione o abbia accettato di occuparsene, è responsabile della sua salute e del suo benessere, dovendo provvedere alla sua sistemazione e a fornirgli adeguate cure e attenzioni, tenendo conto dei suoi bisogni fisiologici ed etologici, secondo l’età, il sesso, la specie e la razza.

                Da ultimo, giova ulteriormente evidenziare che il nostro codice civile all’art 514 cpc, in materia di cose mobili assolutamente impignorabili, include al n. 6-bis) gli animali di affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali; e al n. 6-ter) gli animali impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli.

                Tale divieto esplicito di pignorare gli animali, poiché non configuranti semplici oggetti da poter vendere all’asta per recuperare una somma da parte del debitore, va a suffragare, inconfutabilmente, il principio secondo il quale gli animali non sono “res”.

                Alla luce di tutte le superiori argomentazioni la sentenza in commento risulta pienamente censurabile, non potendosi qualificare l’animale quale res mobile!