NELL’ATTESA DI UN INTERVENTO LEGISLATIVO DOPO LA PANDEMIA COVID 19

Il termine “Covid-19” è entrato ormai a far parte del nostro linguaggio comune, rappresentando, sia a livello pratico, sia a livello linguistico e culturale, uno stravolgimento delle nostre abitudini e delle nostra attività quotidiane. Da circa un anno e mezzo, infatti, sarebbe ipocrita dire che la vita di noi tutti non sia cambiata: innanzitutto è praticamente impossibile affrontare qualsiasi argomento, specialmente se riguardante il futuro, senza introdurre la parola di cui sopra: “Covid”. Essa, ed il significato sotteso, è come se in qualche modo avesse governato, neanche troppo implicitamente, il nostro modo di progettare, pensare, e agire ed inevitabilmente di considerare “devianti” alcuni comportamenti dei consociati.

Se si torna indietro con la mente, neanche a troppo tempo fa (e si spera a mai più per il futuro), possiamo notare come l’indimenticabile reclusione da lockdown abbia contribuito al far risaltare delle novità anche nel campo del diritto penale, vedendo, in concomitanza, il proliferare di una serie di reati “tecnologici” che vedono emergere nuove tipologie di vittime e nuovi modus operandi criminosi.

La pandemia, difatti, ha evidenziato ed accentuato, in particolare tra i più giovani, una sorta di distacco socio emotivo da quella che è la realtà esterna, facendo nascondere molti ragazzi dietro un monitor.

Da un lato, però, questo “rifugio” ha accentuato comportamenti palesemente violenti e incontrollabili avallati dall’idea (totalmente sbagliata) che la rete sia sinonimo di anonimato ed impunità.

Basta infatti scorrere tra i vari canali social network per osservare che costantemente si leggono, nelle varie pagine di politici, personaggi sportivi o semplici cittadini o peggio ancora compagni di vita quotidiana, numerosi insulti, minacce, intimidazioni da parte di persone che spesso si celano dietro nomi palesemente farlocchi, supportate da foto profilo ove non viene mai raffigurato il volto.

Di conseguenza, anche il diritto e la giustizia si sono dovuti interrogare su come potersi adeguare alle nuove emergenze sociali che rischiano di essere incontrollate e peggio ancora non punite.

Quotidiane sono oramai le pronunce giurisprudenziali che scrivono ed aggiornano costantemente i profili di responsabilità sia del minore sia soprattutto dei genitori, colpevoli di non aver saputo gestire le irruenze adolescenziali dei ragazzi.

Il Tribunale di Sondrio, tra gli ultimi, con una “stoica” decisione del Marzo 2021, ha accolto la domanda risarcitoria avanzata dalla vittima di atti di bullismo, nei confronti dell’autore degli illeciti compiuti, minorenne e perpetrati negli anni, e soprattutto estendendo la condanna risarcitoria anche ai genitori del bullo “per non avere assolto adeguatamente agli obblighi educativi nei confronti del figlio minore”.

Nella decisione del tribunale lombardo si ricava la prima vera “estensioni” di responsabilità risarcitoria anche nei confronti dei genitori i quali spesso e volentieri sono ignari dei comportamenti dei figli o, più gravemente, ritengono che le eventuali responsabilità giuridiche della prole siano totalmente impunibili in considerazione della minore età di una irrilevanza economica dei figli.

Invero, il legislatore da molti anni ha posto sotto la lente di ingrandimento, la responsabilità penale minorile, intervenendo anche sul processo minorile benché  più rieducativo di quello ordinario, estendendo numerose fattispecie penali per “adulti” anche ai ragazzi.

Nonostante questo, però, manca ancora nel codice penale una vera norma ad hoc creata per prevedere e punire le condotte del cyberbullismo e dei reati “informatici” contro la persona.

È da ricordare che il legislatore con l’introduzione della legge 29 maggio 2017 n.71 ha comunque introdotto le “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, prevedendo una serie di tutele offerte alle vittime (l’oscuramento dei contenuti e l’ammonimento del bullo) riguardanti la pubblicazione o diffusione di contenuti online che integrano gli elementi costitutivi del cyberbullismo ai sensi dell’art. 1 di tale normativa.

Di rilievo assoluto, sul punto, è il ruolo delle scuole che dopo un’iniziale impreparazione hanno attuato la normativa vigente nominando un docente con funzioni di programmazione, intervento e coordinamento, al fine di predisporre tutte le misure necessarie per prevenire il fenomeno del cyberbullismo in ambito scolastico.

Tuttavia, benché gli interventi legislativi ci siano, è da rilevare che la pandemia da Covid-19 ed il “timore” del contagio e del contatto sociale, hanno fatto riaffiorare la necessità di una forte presa di posizione da parte dell’organo legislativo sui reati “a distanza” che attualmente sono puniti con pene irrisorie e comunque non educative nei confronti dei giovani rei.

Si tratta di interventi che, però, si auspica non siano destinati a riempire le già fitte reti di normative penale, ma siano piuttosto indirizzati ad un “ammodernamento tecnologico” dei reati già previsti e puniti ed alla precisa individuazione di atteggiamenti offensivi prodotti, o semplicemente rafforzati, per l’utilizzo delle piattaforme social o della rete.